Note del professor Pierfrancesco Giannangeli
In un passaggio molto bello di un testo purtroppo oggi poco frequentato dai teatranti, L’arte della commedia, Eduardo De Filippo mette in bocca a uno dei personaggi una folgorante descrizione dell’autore di testi per il teatro. «L’autore riconosciuto per tale – scrive Eduardo entra dalla porta del palcoscenico ed esce insieme al pubblico a braccetto, da quella della platea. I male intenzionati, entrano dalla porta del palcoscenico e dalla stessa porta escono, e di corsa vanno fino a casa loro e si chiudono dentro e non escono più». Non c’è dubbio che l’autore Ugo Betti non sia un male intenzionato, quanto piuttosto uno dei più raffinati conoscitori delle regole del palcoscenico – leggi in parte scritte, ma soprattutto praticate – il cui utilizzo è evidente nelle sue opere. Dunque, Betti è uno di quelli che dapprima si mette a disposizione degli attori (e dei registi che li guidano) e così facendo diventa complice del pubblico. I suoi sono testi che, a distanza di anni dalla loro composizione, sanno interrogare gli spettatori contemporanei, perché restituiscono un’indagine sull’essere uomo in una comunità, e proprio per questo motivo, dapprima, coinvolgono in un gioco di specchi coloro che li mettono in scena. Corruzione al palazzo di giustizia, riconosciuto come il suo capolavoro, con l’umanità varia e repellente – tranne la nobile figura di Elena – che propone, con le linearità e le contraddizioni insite nel testo, ne è un esempio chiaro e continuamente rinnovabile nelle forme dello spettacolo. E’ così che un testo diventa un classico e come tale si rivolge al pubblico di ogni tempo.
Pierfrancesco Giannangeli